tracce di tracce

Dario Marchiori
TRACCE DI TRACCE


Paisagens, tudo paisagens…
São sonhos indefinidos
De vozes vagas de Imagens
Afonso Duarte, “Seguidilhas” (Cancioneiro das pedras, 1912)

…Oggi Giacomo ha disegnato una ferrovia: il sole, la galleria, i binari.
“Il treno?”.
“Il treno non c’è”, mi ha risposto.

In questo scompartimento vuoto provo a dirlo anch’io: il treno non c’è, solo immagini che scorrono…
(Mauro Santini, dalla banda sonora di Di ritorno)

Il NodoDocFest di quest’anno, incentrato sulle possibilità di (r)esistenza del documentario in Italia, propone una lettura dei video di Mauro Santini come sguardi documentari sulla realtà. Santini mostra di avere una coscienza profonda dell’interrelazione, nel vissuto che cerca di trascrivere, tra il reale e l’immaginario. Il suo percorso di videasta comincia dal soggettivo, dalla Lisbona di Pessoa che rimarrà sempre al centro della sua poetica nel documentario immaginario Dove sono stato, e prosegue col quinquennale progetto – scoperto come tale in corso d’opera – dei Videodiari, che lo occupa nella prima metà degli anni 2000 come un percorso nella memoria, per confrontarsi all’ineluttabile passaggio del tempo, alla sparizione dei propri cari, al trascolorare dei sentimenti. Alla fine dei videodiari Monica, la sua compagna, incarna ormai una sintesi possibile tra due vite diverse, l’ipotesi di uno sguardo condiviso sul mondo. Per dirla con Caproni, poeta caro a Santini: “Il mare brucia le maschere (…) Tu sola potrai resistere / nel rogo del Carnevale”.
È così che il lavorio incessante di metamorfosi dell’immagine, presente inafferrabile che si trasforma continuamente secondo i moti dell’animo, trova requie nella felicità della comunione con Monica. Apparentemente opposto ai Videodiari, si profila nel 2006 il progetto dei Giornalieri: film girati in una città europea nell’arco di un solo giorno (il dì, e soprattutto la notte). Flòr da baixa – nelle sue due versioni, quella corta che chiude i videodiari, e quella lunga completata un anno dopo – è il perno incandescente di questo percorso, inaugurando l’idea di uno sguardo sui “passanti”, emblematico della modernità e in particolare di quella del cinema, in una delle sue forme originarie: le “vedute” del Cinématographe Lumière, come finestre aperte sul mondo. Finestra in movimento costante, come il finestrino di un treno; finestra socchiusa, ambata come un orecchio proteso ad ascoltare la vita; ultima e fondamentale finestra, il vetro dell’obiettivo di una videocamera situata à la place du cœur.
Il cinema come traccia della realtà. Nulla di più vicino al bisogno primigenio di Santini, nell’impossessarsi del video, della poetica del grande critico André Bazin, che lo stesso Santini cita a proposito dei suoi Giornalieri, mettendo l’accento sul suo fondamento, ovvero la congiunzione di una vocazione del cinema a conservare una traccia materiale della realtà, e al contempo di rivelarne qualcosa: “L’immagine conta prima di tutto non per ciò che essa aggiunge alla realtà ma per ciò che ne rivela”. E Bazin aggiungeva a quest’idea del cinema come “impronta” materiale della realtà una dimensione antropologica, parlando del cinema come di una “mummia del cambiamento”, legata alla necessità primitiva di conservare l’immagine dei morti. Anche in questo, la coerenza “baziniana” del lavoro di Santini è più profonda di quanto può sembrare, e si ritrova ancora nel suo ultimo film ad oggi, lo splendido omaggio a Corso Salani, Dove non siamo stati, che recupera la voce dell’amico regista per Dove sono stato come una traccia del tempo, per meglio filmare la sua assenza, oggi, nelle immagini dei luoghi in cui Salani avrebbe dovuto interpretare un prossimo progetto di Santini.
Lo sguardo di Santini ha preso strade diverse, dal diario fino al documentario “contemplativo”, per rispondere con più fedeltà a un impulso d’autenticità nel rapporto alla realtà, che fa del cineasta un “filtro” (ancora Bazin!) inevitabilmente soggettivo: la forma è il luogo in cui s’inscrivono materialmente il suo sguardo, il suo desiderio, il suo spaesamento, la sua angoscia, il suo amore. Parafrasando Deleuze, potremmo dire che Santini non restituisce un’immagine della realtà, ma l’immagine come realtà materiale: realtà e immagine sono inscindibili l’una dall’altra come le due facce di un vetro…
Il cinema di Santini è uno sguardo sul presente come impermanenza delle cose. Tutto il suo cinema può essere visto come documentario, nel senso che è attraversato da un capo all’altro da una ricerca spasmodica sulle condizioni di esistenza del presente, Sensibile all’attimo come nugolo di memoria, indistintamente reale e immaginaria, Santini conosce il potere del cinema di trascrivere il presente, ma anche la sua impotenza di fronte all’inesorabile sottrarsi del tempo. Il cinema “diretto” cui sembra approdare nei “giornalieri” è sempre motivato da un racconto interiore che si scrive mentre si cerca, e si definisce meglio al montaggio e al mixaggio: persone che sembrano aspettarsi, telefonarsi, volersi incontrare, sempre osservati “da lontano” (è il titolo di uno dei Videodiari), con uno sguardo che dietro l’apparente oggettività nasconde l’irruenza del soggettivo. Quasi una risposta dell’immaginario alle vite separate, divise, solitarie della città moderna.
Un cinema autentico, che si cerca, esita e non può che accettare la propria onesta fragilità. La fragilità che ci accomuna in quanto esseri viventi; ma anche la fragilità incrollabile, resistente, di un cinema che riesce a trascrivere l’effimero, come l’ombra di un’ombra, la traccia di una traccia. L’insieme della sua opera è contenuto nell’arco che si tende fra le Foglie e l’Istantanea di Caproni, entrambe poesie del 1978: dal tacito grido del vento che “non lascia traccia” sul marmo dei propri cari, nel primo poema, alla necessità limpida di trattenere una piccola immagine, effimera eppure necessaria, definitiva perché fragile, fresca, leggera:

Foglie

Un brusio
di voci afone, quasi
di foglie controfiato
dietro i vetri.

Istantanea
Luisella che compra
da un bouquiniste Perrault.
Il giovane vietnamita
che blocca la sua Renault.


Pubblicato sul catalogo del VI NodoDocFest di Trieste. maggio 2012


 

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