emanuela russo

Emanuela Russo
UN JOUR A MARSEILLE

Santini, dopo aver vinto nel 2002 lo Spazio Italia del Torino Film Festival, presenta quest’anno nella sezione Detours, Un jour a Marseille. Il lungometraggio è la storia di un viaggio intrapreso dal regista in tre luoghi della città, che incomincia una notte e termina la sera successiva. Entriamo subito nella notte di Marsiglia, con la macchina da presa che filma immobile dal finestrino di una macchina che percorre le vie della città e arriviamo a Boulevard d’Athénes. E’ passata la mezzanotte e il regista, dalle persiane di un appartamento che da sulla strada, riprende e spia ciò che avviene sul marciapiede di fronte a lui. C’è un bar che sta per chiudere, passano persone, pochi metri più in la del bar c’è un barbone coricato che fuma. Passa la solitudine in quel tratto di strada, sagome di persone dirette non si sa dove che lentamente attraversano lo spazio, ma passa anche la solidarietà quando una signora del bar porta una bevanda al barbone. E’ una notte che si sta per concludere come tante altre notti, nei gesti semplici di chi vaga per la città senza una meta (passa un altro barbone che manda via il primo da dov’era coricato), dei gestori del bar che tolgono tavolini e sedie, chiudono la saracinesca del locale. Ci si sveglia il mattino dopo guardando sempre quel tratto di strada, il bar ha riaperto, persone di tutte le nazionalità passano distrattamente, al tavolino del caffè una coppia di turisti guarda una cartina e si scambia carezze d’affetto, un uomo solo fuma e sorseggia un drink dando l’impressione d’essere un frequentatore abituale del caffè. A questo punto la macchina da presa si sposta e cambia luogo d’osservazione. Esce dall’appartamento, scende le scale e ci ritroviamo alla Grande Joliette, in riva al mare, nel pomeriggio soleggiato. Qui la macchina ferma in due punti d’osservazione riprende le persone che passano, i bambini che giocano, un venditore di bevande per poi concentrarsi sempre immobile su un altro venditore arabo che si sposta con il suo carrello di bevande e ci regala senza saperlo il suo momento di preghiera con i suoi riti e gesti lenti. Segue una panoramica ampia e vediamo un circo che chiude questa seconda parte di narrazione. Arriviamo alla Corniche, macchina da presa fissa a riprendere la vita dentro le case sulla roccia e sul mare. Una famiglia sospesa nel tardo pomeriggio riunita attorno ad un tavolo, due bambine che saltano e giocano, una signora che lavora a maglia. La curiosità di una delle due bambine che va sul terrazzo, scende sulla roccia in riva al mare e immerge i piedi dentro l’acqua, attratta da qualcosa. Sulla stessa terrazza una signore, forse il padre che fuma disilluso con lo sguardo perso nel vuoto. Tutto questo è Un jour a Marseille, un pianosequenza infinito del mondo, un video in gran parte compiuto nell’atto della ripresa con interventi minimi di montaggio, senza interventi sul tempo, sull’immagine, sui suoni. Un racconto di piccole storie osservate a distanza con accoglienza e comprensione, quasi con timidezza. Non ci sono attori, le immagini sono rubate dalla realtà e la narrazione rimane aperta ed errante, esposta alla casualità degli eventi e al continuo flusso della vita che ciclicamente continua. Le ultime immagini del film sono simboliche e aperte: vediamo la sagoma del signore che fuma riflessa nell’acqua e una delle due bambine che scende la scaletta verso il mare. Dalle parole del regista stesso, l’acqua è simbolo della ciclicità della vita, del ritorno nel grembo materno e la bambina è l’infanzia, una storia che continua a muoversi oltre la telecamera, un modo per parlare di se attraverso gli altri.

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Pubblicato su ‘boring machines disturb sleep’, 2006

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